L’oscuro passeggero

No, non sono diventata Dexter, prendo solo in prestito le sue parole perché sono convinta che ognuno di noi abbia il suo oscuro passeggero, il demone o come vogliamo chiamarlo. A me piace molto oscuro passeggero, proprio perché si comporta come tale, staziona negli abissi dell’anima e quando ha finito la sua corsa, il suo percorso, si aprono le porte e lentamente va via.

Quando arriva non si sa. Ad un certo è lì con i suoi occhi neri e abissali che risucchiano tutto. Un’ombra, come un dissennatore, e non c’è cioccolato che tenga. Si può provare a raddoppiare la dose, ma non funziona. Il risultato è sempre lo stesso.

Non so se l’oscuro passeggero si stia nutrendo o se si stia solo divertendo.

Sussurra parole così piano, che si sentono, sono già nella testa. Si ripetono all’infinito. Ed è tecnologico, o quasi, possiede un proiettore e si diverte a guardare e a riguardare le immagini più tristi, brutali, deludenti o strazianti. In loop. Magari di notte, per mangiarsi le ore di sonno. Perché probabilmente è ghiotto di tempo, non gli basta mai. E’ invadente, pervasivo come quelle quelle erbacce che più le sradichi e più crescono. Continua ad intaccare tutto. Continua a sussurrare parole che non hanno ragione, parole sbagliate, parole che non esistono, ma siccome piega la tua volontà tu ci credi, e anche se ti metti sotto il sole, il sole non c’è. Che colore hanno i colori? Cosa fa la differenza fra una cosa e un’altra? E la forza, la voglia di fare qualunque cosa? Se le mangia a colazione quelle!

Cosa succede? Se il pilota automatico non è abbastanza efficiente tutto si ferma. Altrimenti si va avanti in linea retta, in maniera innaturale e robotica, con una bella mascherina sulla faccia, mentre dentro lui si diverte a spegnere tutte le luci e malgrado questo i suoi occhi neri più nero del buio continuano a fissarti e inesorabilmente portano via ciò che resta.

Non ci incontravamo da circa 20 anni io e lui.

Guardo il cielo dalla mia finestra, un aereo è appena decollato e si incrocia in prospettiva con una cornacchia che sta planando sul tetto di un palazzo. Fuori è tornato il sole dopo la pioggia che ogni anno accompagna la mia città in questo giorno di Festa Manna, perché è la festa di Efisio, ci la tolto la peste. L’oscuro passeggero vale come peste? Chissà!

Le tegole di alcuni tetti sembrano brillare sotto i raggi di questo sole tardivo e in sottofondo gli uccellini si stanno scatenando. Chissà cosa si dicono… E’ tornato anche il vento, e fa sbattere le persiane.

Si potrebbe quasi sorridere. Ma non oggi perché l’oscuro passeggero quell’impulso se l’è mangiato come antipasto all’arrivo. Però ha portato lacrime ” acqua che non si ferma più”.

Tutto questo discorso che forse ha anche poco senso, ( ma i pochi se ancora ci sono, che mi leggono, ormai lo sanno. Scrivo senza senso dal 2005) per dire cosa?

Prima di tutto, visto che ognuno di noi ha il suo oscuro passeggero o come volete chiamarlo, abbiamo un arma contro di lui: lo conosciamo. Può fregarci all’arrivo, ma poi sappiamo che è lì a prendersi tutto.

Secondo, lui non sa e se non lo sapete neanche voi ricordatevelo, che abbiamo degli alleati. Perché ad un certo punto quando sta mangiando troppo dobbiamo chiamare i rinforzi, altrimenti quelle porte non si apriranno e lui resterà lì troppo tempo.

Se ancora non ha spento tutte le luci, usiamo ciò che è ancora acceso per riunire un esercito e mandarlo via. Perché le prossime fermate siano piene di luce, di colori e bella musica. Perché i colori hanno un colore che merita di essere contemplato ancora e per sempre. E perché non è sbagliato essere fragili, chiedere aiuto e accogliere l’aiuto che ci viene offerto. Non significa essere sconfitti. Anzi.

Quando l’oscuro passeggero scenderà, facciamo in modo che si porti via tutto quel ciarpame vecchio, nuovo o residuo, le zavorre, la polvere, e la sporcizia. Perché la corsa non può finire così e abbiamo sempre margine per decidere dove vogliamo arrivare e soprattutto come.

IL TUO ERRORE PIU’ ASSURDO

Il tuo errore più assurdo

è che pensi che gli altri

abbiano il cuore grande

come il tuo

che provino la tua stessa pelle d’oca,

che piangano per un po’ di musica

che fermino il mondo

che fermino addirittura il mondo

se là fuori

è ora di tramonto

pensi che come te

siano fatti di brividi per un niente

di sensibilità inimmaginabili

e di voglia di danza

se la musica

è poco più accennata del solito

il tuo errore più assurdo

è che pensi che gli altri

abbiano il cuore grande

come il tuo

che si schierino subito con te

appena c’è un aiuto da dare,

una giustizia da pareggiare

un bacio in sospeso da risolvere

una mano da emanare

una gamba per andare incontro

che provino i tuoi stessi stupori

le tue stesse meraviglie

che anche loro siano fatti di generosità

e silenzi dolorosi come bombe a mano,

che abbiano dei sogni difficili da portare avanti

e che considerino la vita tutta sacra

a prescindere da che vita sia

tu pensi che gli altri

abbiano il cuore grande come il tuo,

ed è proprio per questo

che hai il cuore grande.

[Gio Evan]

Ottimizzare il dolore

In questo lungo febbraio, che ho soprannominato “il mese dell’addio”, ho avuto un enorme sovraccarico emotivo e sensoriale. Qualcosina me la stavo già trascinando dalla fine dell’anno, ma dal 1 gennaio in poi è andato in crescendo fino a scoppiare. Uno Tzunami. Tutto ciò che avevo faticosamente messo in piedi con grandissima fatica è stato spazzato via da tante emozioni profonde e negative.

Come ho già spiegato, per una Persona Altamente Sensibile, momenti come questo sono vere e proprie catastrofi perché il dolore è profondissimo e e per uscirne ci si impiega sempre troppo tempo rispetto all’oggettiva entità del problema o del danno. E’ l’effetto collaterale del vivere intensamente. Anche con i giusti confini, o quelli che si pensava fossero i giusti confini, si va sempre oltre e il rovescio della medaglia è che una cosa carina diventa bellissima, e se si cade non ci si sbuccia il ginocchio, ci si rompe tutti. Sempre e comunque. Ma siamo fenici. E come tali risorgiamo dalle ceneri, per ardere ancora di più. La sensibilità è una risorsa sempre. Io voglio vederla così…e così, fino quasi ad ossessionarmi… con il briciolo di lucidità che sto recuperando, mi sono chiesta: cosa posso fare di tutto questo?

Se questo dolore è qui, devo trasformarlo in qualcosa di utile, in una lezione preziosa, in una risorsa, altrimenti veramente è tutta energia sprecata due volte ( perché purtroppo il tempo… quello non lo si può recuperare mai).

E così mentre dopo la meditazione guitada della sera lasciavo vagare i pensieri liberi di dissolversi come nuvelette nell’infinito eccola: Frida Khalo, con una frase che anni fa mi colpì così tanto che pensai dovesse essere tatuata nelle ossa : Dove non puoi amare, non soffermarti.

Che potenza! Che verità!

E ho iniziato a riflettere cosa voglia dire il ” non poter amare” .

Dove non posso amare?

Non posso amare in una relazione dove l’altra persona non si ama, tanto da creare un ambiente ostile per l’amore. Ovviamente molti tireranno fuori gli amori non corrisposti, ma quelli sono un caso diverso. Non si può amare nei fatti, con il cuore si.

E proprio ieri ragionavo anche con una persona di questa faccenda: cosa ho da offrire all’altro?

Ora lo so. Ora sono riuscita a collegare due situazioni nettamente dicotomiche ( apparentemente, perché sono una il “dietro lo specchio dell’altra).

La mia risposta è stata: la presenza. Ma aspettate a parlare di ovvio… non è di presenza fisica che sto parlando. Parlo di una presenza interiore, esserci. Completamente.

E quando una persona riesce ad esserci? quando è sicura. quando è tranquilla, quando non ha paura di stare davanti all’ignoto.

Perché parliamoci chiaro, stare accanto ad un’altra persona non significa solo conoscerla, uscire, divertirsi e farsi 4 risate dentro e fuori dal letto sussurrandosi frasette di dubbio romanticismo. Stare accanto significa guardare verso l’ignoto. Perché non sai cosa può succedere domani. E per essere pronti c’è solo una cosa da fare: amare se stessi, così tanto, con così tanta convinzione e profondità da non aver paura dell’ignoto.

Ci sono persone che non affrontano il dolore, o la rabbia…Li ignorano. Credete che facendo così poi si possa un giorno stare accanto a qualcuno? La risposta è no. Si sta, ma male. Ed io lo so. Io lo so com’è fatto quel male, so cosa vuol dire essere ricoverata in ospedale e ricevere in cambio una bella vagonata di indifferenza e distacco. O essere in un momento difficile e venire dimenticata come un oggetto qualunque su una mensola, a prendere polvere.

Cosa posso offrire all’altro? Posso offrirgli la certezza di di aver conosciuto, accolto, abbracciato e attraversato ogni mia emozione, bella, brutta, fastidiosa… E’ solo così che si può stare. E’ così che si offre all’altro la sicurezza. Per questo è importante che ci amiamo. Senza giudicarci, senza paura di disintegrarci, perché non succederà…No, anzi, saremo ancora più interi. Saremo più autentici, saremo in grado di far fiorire l’amore in una relazione.

Ma se questa zona fertile non c’è, se l’altro non si ama perché non è in contatto con le proprie emozioni… Non ci si può soffermare, bisogna lasciar andare.

L’ho capito molto bene cosa voglia dire restare, ora lo so. E so che in futuro che troverò terreno fertile potrò mettere radici, perché adesso so ancora meglio cosa significhi aggrapparsi a se stessi durante una tempesta di dolore, per tendere la mano a chi ha bisogno. E non è strano che me l’abbia mostrato Gilda, mi ha fatto un regalo enorme, di cui mi prenderò molta cura. Mi ha fatto capire cosa voglia dire esserci per l’altro, stare lì, a sostenere, a guardare un abisso di dolore e trovarci dentro non il nulla, ma una dose ancora più grande d’amore. E tutto questo dolore, nuovo e vecchio, mi sta dando la conferma che non c’è niente di male nella tristezza, il male c’è quando si scappa come vigliacchi da se stessi e dagli altri. Senza voler accedere a parti di se stessi che sono fondamentali per vivere. Perché la vita è anche incasinata, è dolorosa, non è sempre una festa, non la si può considerare a metà, sarebbe quasi un insulto, secondo me. E’ dalle situazioni complesse che possiamo imparare, ma dobbiamo fare un atto di fede e stare. Scegliere di abbracciare i nostri dolori, le nostre sensazioni sgradevoli. Ogni cosa. Se non partiamo da noi, sarà impossibile accogliere l’altro.

Userò questo dolore per aiutare, le persone che me lo chiederanno, ad andare in fondo a se stesse, terrò loro la mano durante il viaggio, le accompagnerò negli abissi, sapranno che sarò li per loro, così un giorno loro saranno pronti ad esserci, per se stessi e per l’altro. Ecco come userò tutto questo.

Stare, è la cosa più confortante, più importante che ci sia, ma se non si può stare non si può amare.

Stare con se stessi non significa chiudersi in casa a guardare serie Tv perché la gente ci da fastidio. Stare con se stessi diventa il tempo più importante della vita se lo usiamo per stare accanto a tutte quelle parti di noi che sono rimaste sole, inascoltate e abbandonate per troppo tempo.

Se impariamo ad amare noi stessi, ad accoglierci, a rispettarci ad abbracciarci, impareremo a stare. E allora, qualcuno si soffermerà.

Frida dice anche: ”L’arte più potente della vita è fare del dolore un talismano che cura. Una farfalla rinasce in fiore, in una festa di colori.”.

Vi auguro si stare. E di trovare qualcuno che si soffermi, perché a quel punto voi sarete amore, e una nuova farfalla potrà volare di nuovo fra i colori ❤

T O R N

Visto l’umore di questi giorni ( vedete che infatti, da brava PAS, scrivo anche di più) mi sono rifugiata nella musica degli anni 90. Che poi gli anni 90 sono stati un po’ un inferno per me…erano gli anni del liceo, i compagni mi bullizzavano, ero insicura all’ennesima potenza, mi volevo male e avevo una cotta mostruosa per uno che neanche mi guardava… Però…quegli anni erano ricoperti come da una specie di glassa dolce, una spensieratezza ed una strana fiducia nel futuro che ovviamente ormai per me è agonizzante. Come ripeto da un po’… La mia speranza sta sorseggiando cicuta!

Sta di fatto che tra tutte le canzoni non poteva mancare lei: ” Torn” con quel motivetto che sembra pure allegro, sembra una canzona spensierata…E invece dice esattamente questo:

Pensavo di aver visto un uomo rinato
era appassionato, mi girava intorno con dignità
mi ha mostrato cosa voleva dire piangere
beh tu non puoi essere l’uomo che adoravo
non sembri sapere o preoccuparti
di ciò che il tuo cuore vuole
ma io non lo riconosco più

Non c’è nulla al suo posto
il dialogo si è spento per me questo che succede
niente va bene, sono lacerata

Ho perso ogni fiducia,
mi sento così
ho freddo e mi vergogno
distesa nuda sul pavimento
l’illusione non è mai
diventata realtà

sono sveglia e riesco a vedere
il più bel cielo lacerato
arrivi un po’ tardi, sono già lacerata

Così penso che l’indovino abbia detto il vero
avrei dovuto vedere solo la realtà
e non qualche fuoco fatuo
ma tu scorrevi nelle mie vene, e ora

Non mi importa, non ho avuto fortuna
non mi manca così tanto

( traduzione di angolotesti.it)

Torn: lacerata

A questo proposito aggiungo una riflessione della scrittrice Carla Casolari

” La delusione è un’ascia affilata nello stomaco, dove volavano farfalle. E’ precipitare. E’ un po’ morire. E’ rabbia, per la nostra buona fede malriposta. E dopo non resta più nulla. Neanche il brivido della caduta. La delusione uccide la stima, spezza le ossa e distrugge l’amore”

Io non so se l’autrice sia una PAS e non so se i normosensibili si sentono così, ma quest’é.

E’ esattamente così.

Ma ho un po’ di glassa di riserva: la primavera, e poi l’estate. Arriverà il caldo a seccare le ferite di quest’anima lacerata e delusa. Vedo in lontananza la luce, bisogna solo arrivarci passo dopo passo. Non scaccio il dolore che provo. Sono molto triste…Sono successe troppe cose brutte ultimamente e se voglio rispettare me stessa e ricominciare ad amarmi di più questo dolore me lo devo vivere fino in fondo. Anche perché l’alta sensibilità mi impedisce di fare altrimenti. Ma al di là della mia alta sensibilità, se fossi la mia paziente mi darei comunque questo suggerimento: passaci attraverso Sté, questo dolore ha qualcosa di importante da dirti, vivilo, fino in fondo, senza paura che possa ucciderti, perché ne hai passate tante, forse anche peggio di tutto questo… E sei arrivata fino a qui. La prossima tappa è il Km 0. l’Oceano. E allora: guarda verso l’Oceano, enorme, sconfinato, irrequieto, ti sta aspettando. Sei già in cammino, forse la clessidra è già stata rovesciando, e nuovi tempi sono già nati. Vivili. Con lacerazioni, delusioni e dolore, vivi tutto, vai avanti, respira e cammina. Un passo alla volta.

Buen Camino a tutti i pellegrini della vita.

un altro addio

Febbraio 2024 si conferma il mese dell’addio.
Anche i miei auricolari hanno “perso” il loro compagno.
Qualche simpaticone ieri notte ha pensato bene di aprirmi la macchina, o forse non do, l’ho lasciata io aperta… Non ci sto molto con la testa… Ma non credo. Ricordo di averla chiusa.
Sta di fatto che nella mia vecchia auto con la psoriasi non c’è nulla di valore. Solo vecchi CD che nessun ragazzino ascolterebbe.
E con Spotify chi lo vorrebbe un vecchio lettore Mp3 tutto graffiato a cui si è pure staccato un pezzo?
Ma i miserabili esistono. E se lo sono rubato.
Voi direte: te ne compro un altro.
Si si. Posso. Ma quel cosino era con me da anni, ci ho viaggiato, ci ho fatto il cammino di Santiago e nell’ultimo anno quel lettore Mp3 con la mia musica dentro è stato il mio ansiolitico di fiducia. Nelle ultime settimane lo avevo rimesso in macchina perché quando sto male ho bisogno di cantare le mie canzoni. E mi stava aiutando parecchio.
Noi PAS non riusciamo mai a vedere gli oggetti solo come tali. Creiamo legami, diamo anima a tutto.
Domani dovrò muovermi e non avrò la mia musica. Mi hanno preso una cosa di grande valore per cosa? Per fare i fighetti con gli amici.
Scedaus! Perdenti. Miserabili e perdenti.
Il Karma ci vede bene, vede e provvede.
Ma questo è un altro addio che non avrei voluto.

A Te, che sei.

Preferisco scriverti e non raccontare com’è andata.

Perché 14 anni sono tanti, e i nostri sono stati densi, belli pieni.

Sei arrivata a casa sul finire di Gennaio. Tutta nera, con le zampette bianche e quella grossa macchia bianca sul petto. Un musetto monello. Da subito. Ricordo che hai fatto pipì su una busta e poi ti sei stiracchiata le zampette posteriore come poi hai continuato a fare fino a che ti stato possibile.

Sei arrivata nel pieno delle mie illusioni. L’unica cosa reale di tutta quella situazione eri decisamente Tu.

E me lo avevi anche fatto capire, rifiutandoti di stare in una casa che non sentivi casa, ne avevi paura. E avevi ragione. Ti feci subito una promessa: starò con Te, fino all’ultimo respiro.

Abbiamo vissuto, io e Te nella mia piccola stanza, a dormire schiena contro schiena. Ti sei beccata i miei fallimenti clamorosi, come la vita di coppia ( una fortuna direi) alla mia rinascita, alle malattie in famiglia, agli incidenti. Ogni volta che la fibromialgia mi ha piegata dal dolore tu eri li. Stavi. Nonostante non gradissi essere toccata troppo, essere presa in braccio o sbaciucchiata a tradimento, hai sempre trovato il modo di creare un contatto. Quando ero triste facevi la spiritosa per farmi ridere. Amavi fare la sfilata dei pupazzi quando c’erano ospiti. A quelli più simpatici portavi la tua giraffa, grandissima concezione! Hai sopportato l’arrivo di Tempesta senza mai essere troppo ostile. Poi siamo andate a vivere a insieme e siamo entrambe rinate, tu sei diventata dolce, affettuosa, hai cominciato ad amare i bambini, ti sei creata in brevissimo tempo una fetta di amicizie ne quartiere, hai dispensato amore e regalato sorrisi, hai fatto ridere le persone. E sei stata la migliore coterapeuta che potessi desiderare. Per ogni paziente avevi un fare diverso, un modo unico e speciale di farti accarezzare o di attirare l’attenzione. E ti hanno amata, tutti. Hai affrontato la tua malattia con una potenza incredibile.

Mentre il tuo fegato, negli ultimi 3 anni si disintegrava, tu hai continuato ad essere il meglio di te, mi hai resa orgogliosa per ogni progresso, per ogni novità, per ogni dolcezza e sorpresa che mi hai fatto. Ci bastava uno sguardo. Tu mi sentivi. Io ti capivo.

Sei rimasta te stessa sempre, indomabile, cocciuta e selvatica. Mi hai pinzato un dito anche perima di dirmi addio mentre ti pulivo.

Mi hai insegnato così tante Gilda mia, che non saprei neanche da dove cominciare.

Sicuramente hai rafforzato la mia pazienza, mi hai aspettato a rispettare i tempi degli altri e mi hai fatto capire che dobbiamo amare le persone per come sono nella loro interezza, malgrado i difetti, perché sono quei difetti che le rendono uniche. MI hai insegnato a non arrendermi mai, ed infatti la pettorina poi te l’ho messa, dopo 11 anni e mezzo. Ma non mi sono arresa. Ci ho creduto e ce l’ho fatta! MI hai insegnato ad avere fiducia nell’altro ed incoraggiare con dolcezza e determinazione. Mi hai insegnato che non si molla. Mai. Per nessun motivo. E io non ho mollato.

Gli ultimi mesi sono stati un calvario tra paura, incertezza e insicurezza. Il tutto poi si è trasformato in un dolore così grande che se sono qui a raccontarlo con un briciolo di lucidità è solo perché la forza me l’ha data l’amore che avevo per te e che tu hai diffuso. Vederti mentre ti consumavi, mentre rifiutavi il cibo e l’acqua, sorreggerti per camminare e per fare i bisogni, aiuarti in tutto, cercare di contenere le crisi convulsive… E’ stato uno strazio profondissimo che ho gestito solo perché Tu mi hai insegnato che se ami qualcuno gli resti accanto. E ti avevo fatto una promessa: fino all’ultimo respiro. E l’ho fatto. Sono rimasta anche dopo. Mi sono presa cura della tua vita e della tua morte, perché Tu meritavi ogni cosa, ogni attenzione, ogni minuto della mia capacità di amare. Molto più di certe persone che di minuti me ne hanno portati via anche troppi. Ti ho amata così tanto da lasciarti andare, e questo amore così grande è l’unica cosa che ora mi regala un pò di pace tra una crisi di pianto e l’altra. Manchi già moltissimo. Tempesta è un po’ sconvolta credo. Ma penso sapesse che stavi molto male. Spero di averti fatto sentire quanto ti ho amata, e che sia riuscita a sentire tutto l’amore che le persone che ti hanno dimostrato. Hanno scritto in tantissimi, ho condivido le nostre avventure, fino alla fine, e per questo le persone ti hanno amata e ci sono state vicine. Guarda che miracolo hai fatto! Anche nel dolore sei riuscita a creare una rete di amore e sostegno. E pensare che ci sono certi trogloditi che dicono che : è solo un cane!

No… Tu eri molto di più, come lo sono tutti gli esserini senzienti che la gente sottovaluta. Tu eri puro amore. E mi hai insegnato ad amare, mi hai fatto capire cos’è veramente importante in una relazione ora ho molto più chiaro cosa voglio. Tu sei stata la mia guida, la mia coinquilina, la mia collega, la mia persona. Sei stata la parte più sostanziosa della mia vita. Tu eri il mio stile di vita. E ora è tutto molto strano. Mi manca il rumore delle tue zampette sulle mattonelle, mi mancano le tue incursioni e le scenate perché vuoi i biscotti. Mi manca darti i pezzettini di frutta. Ed sono passate solo 24 ore o poco più.

Ma sotto tutto questo c’è l’amore che aspetta solo che il resto si consumi per brillare ancora di più. Perché l’amore è assenza di morte, e Tu, eri amore.

Sono grata, di tantissime cose, di questi 14 anni dal primo all’ultimo, delle cose che mi hai insegnato, delle persone che ci sono state vicine, del futuro in cui so che mi accompagnerai in modi che adesso ancora non conosco.

Grazie amore mio.

Grazie Gilda, che la Madre Terra di avvolga fra le sue braccia e faccia rifiorire nell’amore il tuo spirito.

Ti amo moltissimo, te l’ho ripetuto fino all’ultimo secondo e continuerò a ripeterlo.

Sarai in ogni mio respiro, fino all’ultimo respiro ❤

abortire l’amore

Anche l’amore si può abortire.

A volte muore naturalmente ancora in stadio fetale, altre volte per forza di causa maggiore dobbiamo fare un raschiamento del cuore e abortirlo.

Non importa il motivo.

L’amore si può abortire.

E fa male.

Sempre.

Profondamente.

Sei hai abortito l’amore, prenditi cura di te,

Piangilo quel piccolo grumo di sentimento,

Avvolgilo in una piccola coperta, seppelliscilo nell’angolo più caldo del tuo cuore.

Fai che diventi nutrimento per la terra del cuore,

Perché da quell’aborto possa rifiorire il nuovo, cresciuto con le tue lacrime e le lacrime del cuore.

E abbi pazienza,

Accogli il dolore

Accogli la delusione

Accogli le imperfezioni

Stringiti a te.

Ricomincia ad amarti.

La stagione cambierà.

Rifiorirai.

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Dirsi addio

E’ passato davvero tanto tempo dall’ultima volta che mi sono rifugiata in questa mia piccola isoletta di pensieri. Chi mi segue, se esiste ancora qualcuno che lo fa, sa che non riesco a tornare qui a comando, seguo sempre una specie di richiamo. E poco fa durante la passeggiata con Gilda, è arrivata una valanga emotiva, un’onda che mi ha spinta direttamente verso questi lidi condivisi eppure così intimi.

L’anno sta per concludersi e anche se io lo vivo sempre come un continuum, non so per qualche motivo ( o forse lo so fin troppo bene) oggi mentre camminavo e constatavo che la serata è tiepida e piacevole, un misto di gratitudine e nostalgia mi si è aggrovigliato in petto, e nel guardare la fragilità di Gilda ho sentito che non potevo evitare un piccolo bilancio.

E’ stato decisamente un anno particolare. Un anno fa prendevo confidenza con la mia nuova interezza, capivo la mia essenza, mi scoprivo finalmente come non sbagliata, non aliena, non strana, ma prevista in natura ed utile al mondo. Allo stesso tempo il dolore per le condizioni di Gilda e per una delle persone più importanti della mia vita che non sta bene mi ha devastata nel profondo. I primi mesi dell’anno li ho trascorsi a piangere, mi fermavo solo per lavorare. Poi ricominciavo. Stavo per mollare anche il teatro perché non avevo forze, e sono sopraggiunti a schiacciarmi anche altri problemi. Non riuscivo più a vedere una via d’uscita, tutto mi si sarebbe sgretolato davanti senza poter far niente.

Uno dei miei punti critici: il mio rapporto con la passività. Non riesco ad accettare. Non posso. Devo reagire, trovare soluzioni. Ma in entrambi i casi non ce ne sono.

Ma dopo 3 mesi la mia naturale inclinazione al reagire ha prevalso, e forse anche grazie allo yoga ( che sono riuscita a riprendere dopo molti mesi, trovando il posto perfetto) ho ricominciato a respirare. E mi sono ricordata che non serve altro. Respirare. Un respiro alla volta. Insieme a Gilda, che sei miei respiri ha bisogno, perché se respiro sono viva, se sono viva sono forte, se sono forte la sostengo. E così lentamente ho fatto. Ho respirato, e respiro dopo respiro ho anche iniziato sempre di più a prendere confidenza con la mia alta sensibilità. Sono stata a Bologna al primo convegno nazionale ed è stato meraviglioso ed emozionante! Ho iniziato a capire, ed integrarmi in me stessa, sempre di più fino ad arrivare ad un totale cambiamento di stile di vita.

I confini. Questi benedetti confini che sono così importanti, così sacri!

Siamo costruttori di noi stessi e lo siamo davvero quando impariamo a costruire i confini che ci servono per salvarci, per proteggerci e per amarci. E se riusciamo in questo intento allora saremo in grado di amare gli altri in modo molto più vero, sincero e profondo.

Io e Gilda abbiamo trascorso un’estate meravigliosa, tra yoga e passeggiate al parco dopo il lavoro, o nei momenti liberi. Per la prima volta dopo non so più quanti anni non sono arrivata a settembre già col sovraccarico cronico, stanca ed esaurita, ma al contrario, ero serena, lucida, e stanca nei momenti giusti. Ho quindi deciso di portare avanti questo cambiamento di stile di vita, e siamo arrivate fino ad oggi.

Ovviamente l’autunno porta sempre un cambiamento di luce, dopo un picco di speranza, le condizioni di Gilda si sono aggravate. Il capitolo finale della nostra storia ha avuto inizio. Lo scriveremo un respiro alla volta e faremo di tutto per non perdere il sorriso.

Ho un’immensa gratitudine per il 2023 perché è stato un anno decisamente importante che fino all’ultimo mi ha portato doni che non avrei mai immaginato. Doni che conservo gelosamente perché meritano tutta la delicatezza e la cura che posso riservare loro.

Nel 2023 ho ricevuto molte conferme, ho imparato a mettermi al centro, ho imparato ad avere ancora più cura di me stessa, ho ridefinito in positivo ogni evento negativo e mi sento ricca di piccole di cose. Per questo accanto all’immensa gratitudine c’è un po’ di nostalgia, perché alcuni momenti sono e resteranno unici, incastonati per sempre nei miei ricordi. Ho imparato a farmi bastare ciò che resta quando tutto il resto scompare lentamente e lasciare più spazio all’amore perché è l’unica cosa che resterà quando la morte si poterà via i corpi. E ho imparato a ritrovare ogni cosa perduta nelle profondità del mio essere, perché niente è mai perduto per sempre e se ci aggrappiamo a quella fiammella di speranza che non si spegne neanche se ci soffiamo sopra, qualcosa di bello può sempre succedere. Ed è così che termina quest’anno così significativo, con una domenica piena di gratitudine e malinconia, con emozioni nuove e familiari, con lo stupore della relatività del tempo e la pigrizia che accompagna i giorni di festa. Domani è lunedì e si ricomincia lentamente a percorrere la strada di sempre, che aspetta di essere lastricata con i miei mattoncini dorati.

Se qualcuno è arrivato fino a qui, avrà una buona fetta di gratitudine e l’augurio di trovare interezza, sincerità e amore.

CAMBIAMENTO IN ARRIVO

Il blog esiste dal 2005.

Rappresenta al massimo una, parte importante della mia crescita personale, formativa e lavorativa. Come tutte le cose, come direbbe Aristotele siamo, sono in divenire e lo è anche il blog…per cui:

SI CAMBIA NOME.

Tranquilli, il nome non è la cosa designata, il blog non cambia i suoi contenuti, solo il nome, perché

1. Non è vero che sono disoccupata 2. Sono divenuta e diventerò altro per cui: nuovo nome ” diario di una psicologa altamente sensibile” perché questo è in parte ciò che sono ed è parte di ciò che mi rappresenta e che amo di me stessa, e questo blog non poteva non esserne un simbolo.

Sono sempre io, troverete gli stessi pipponi, le stesse riflessioni e gli stessi sciollori 🌻

se vi va di stare ancora qui con me, eccoci 😉

LASCITO

Scrivo poco, lo so, ma vorrei farlo più spesso, e so anche che lo ripeto ogni volta che passo a scrivere qualcosa, ma giuro che è vero! Mi manca tanto la mia bolla di ispirazione, prima ero più facile crearla, ora fatico moltissimo, e sono sempre sull’orlo della sovrastimolazione per cui devo sempre trovare attimi di pausa e quiete per non finire in burn out. Ci sono incombenze che il vivere soli comporta e anche se amo tutto questo per me a volte è faticoso, e quindi cosa succede? Che mi deve venire il covid per farmi trovare la mia bolla! ( ottimizziamo!)

Ultimamente, malgrado non sia decrepita, penso spesso a ciò che sto costruendo, al senso delle cose che faccio, alla mia vita e al suo significato.

Cosa mai lascerò? Ma soprattutto… a chi? Non ho figli. Probabilmente non farò in tempo ad averne e la mia condizione di donna single con partita iva e regime forfettario mi etichetta come inadatta ad adozioni e affidamenti per cui, considerando che i miei animali non mi sopravvivranno Cosa lascio a chi?

Ed inevitabilmente mi sono ritrovata a pensare alla mole di doni che le persone mi hanno lasciato.

Quali doni?

Le parole.

Verba volant si dice per indicare in genere qualcosa che non si fissa, ma guarda caso sono proprio le parole che si sono fissate, mi accompagnano, ancora sento le voci che le sussurrano al mio orecchio, me le porto appresso ovunque, ogni volta che ho paura, o che mi serve un consiglio un monito, un incoraggiamento. Sempre. Fossero stati oggetti non sarebbero mai stati così utili e preziosi, perché la parola si trasforma in presenza, la presenza è vita. In una forma nuova, diversa, ma pur sempre viva.

Ogni volta che utilizzo la metafora della valigia, non sono sola, siamo in due. Ogni volta che uso la parola stranocchio ( che poi chissà se esiste) non sono sola. Ogni parola che mi è stata lasciata mi permette di tramandare qualcosa è un lascito così grande che alla fine, non mi preoccupo più di cosa dovrò lasciare e a chi. Può darsi che i tutti i miei diari e le agende verranno con me, si fonderanno con le mie ceneri e insieme sorgeremo dal suolo diventando una sequoia gigante! ( si aspiro a quel tipo di grandezza, per lo meno nella prossima vita!) Ma intanto mi rendo conto che sto già spargendo ovunque il mio lascito, per chi vorrà tenerlo con sè, e quando un paziente mi dice: sai ripenso alle cose che mi hai detto. Allora so che sono a posto così. Se le mie parole sono servite, quella persona le regalerà a sua volta questo è un grandissimo onore.

Ogni parola vale se le diamo valore e mi basterà lasciare anche solo due parole ben dette ad una o due persone per ritenermi soddisfatta. Tanti eredi e tanta eredità in divenire, nessuna guerra fra parenti per 4 cose che poi alla fine andranno disperse, ma le parole no, le parole resisteranno proprio perché bisogna disperderli come quando disperdiamo i semini nel vento.

Verba volant nel permanere dell’essenza. E così questo pensiero mi da pace stasera, come altre sere e come direbbe il mio caro amore di tempi lontani …” e dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge” .

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