Guardare il mondo in puntinismo

Finalmente, nel silenzio e nella solitudine della mia casetta riesco a prendere possesso della tastiera. Non è stato semplice organizzare la ripresa dello scrivere. A volte l’ispirazione è traditrice e arriva come un colpo di vento nei momenti meno opportuni. Forse dovrei organizzarmi meglio e tenere un taccuino sempre con me per prendere appunti…chissà se riuscirò in questo proposito!

Ancora una volta protagonista subdola e indiscussa ( quasi) della situazione è questa pandemia, che sta condizionando in modo netto la via di tante persone.  Mi ci vorrei mettere anche io giuro, e come v ho già scritto, ho avuto momenti abbastanza difficili, ma la verità è che queste regole a me non feriscono minimamente. Ci sono solo due cose che non sto sopportando: non poter fare teatro e non poter fare yoga.  Per il resto, se mi lagnassi sarei molto ipocrita. La verità, la dura e cruda verità è che a me questa distanza sta facendo bene.  Malgrado detesti visceralmente i comportamenti ipocriti e i formalismi, ci sono aspetti della vita sociale che ne sono comunque regolati…e anche se molti sanno che non tollero i rapporti umani, ormai è quasi un automatismo stringere mani, baciare o abbracciare gente quasi a casaccio ( per come la vedo io) e questa situazione mi sta salvando perché non mi sento più obbligata a farlo per paura di essere giudicata “la solita asociale”.

Ma c’è di più.

Avete presente i quadri realizzati con la tecnica del puntinismo? E’ una roba che fanno sempre fare alle scuole medie. tanti puntini che diventano immagine solo ad una certa distanza, e più ci si allontana più quell’immagine diventa nitida. Ecco! A me la pandemia sta facendo questo effetto.  Prendere le distanze dalla gente, da certi posti e anche, devo ammetterlo da certe relazioni, mi sta permettendo di mettere a fuoco non solo le persone, i posti e le relazioni in sè, ma anche me stessa al loro interno e sto visualizzando determinati schemi disfunzionali forse per la prima volta nella mia vita, in maniera molto molto chiara. E questo è un lato estremamente positivo per me. Per questo ne sto “parlando” qui. Non so…magar può essere d’aiuto o di ispirazione o magari serve solo a me e al mio lato narcisista per sentirmi importante. Boh! Non mi interessa, l’importante è scrivere!

Dunque cosa ho visto?

Ho visto che sono peggio di Candy Candy. Ho visto che ho la sindrome della mammina. E’ terribile. Una roba che ora vedo chiaramente in tutta la sua agghiacciante evidenza. Io faccio la mammina che deve accudire e risolvere i problemi e questo comporta che mi si attacchino tipo zecche ( in sardo cardanche, mi piace di più) persone ansiose e bisognose di cure, attenzioni, considerazione e… consolazione.

E questo meccanismo è così subdolo che all’inizio non me accorgo, perché: dai è fatta così, e me viene così facile, così automatico, sostenere, accudire, motivare, e poi ho questa pazienza con le pile duracell che veramente, è quasi fastidiosa! Porca miseria ci ho costruito una professione! Appunto…professione per guadagnare soldi e vivere, non per farmi disintegrare cronicamente!

Ecco cosa succede … arriva il momento in cui come tutte le mamme sufficientemente buone, mi aspetto che i figlietti volino via dal nido … ma non succede, anzi, si trasformano in vampiri energetici che mi lasciano sfinita e a volte capita anche che io venga trattata veramente male, o che salti fuori un’idea di me che non esiste. L’idea di una persone sempre sorridente, sempre forte, sempre disponibile, che può sopportare qualunque cosa.

La conseguenza di tutto ciò è una colossale, potente e definitiva rottura di palle. Ma la distanza mi mostra la verità: non sono una mammina, e non sono sufficientemente buona perché nelle relazioni, in qualunque relazione si è sempre in due e le responsabilità sono sempre al 50%.

Essere così accudente non aiuta me, e di sicuro no aiuta le persone che mi si attaccano pensando che siamo in una relazione di amicizia. Invece non è amicizia, nell’amicizia si è alla pari e la visione dell’altro dovrebbe essere se non fedele all’originale per lo meno abbastanza vicina.

La cosa peggiore è che quando arrivo alla rottura di palle sento come una sorta di saturazione interna che mi porta a dover assolutamente  prendere molta, molta distanza perché altrimenti mi sento finta.  Ovviamente però siccome i comportamenti dell’altra persona non sono studiati, non posso dirle: guarda non sono tua madre, una madre ce l’hai già, adesso basta! Non si fa. E per spiegare una dinamica simile all’interno di una relazione in cui l’altro crede che siamo amici, dovrei tirar fuori la Dottoressa Ste e dunque peggiorerei la situazione lavorando pure gratis, rendendo tale relazione ancora più confusa e disfunzionale. Vi rendete conto del casino?! Anche perché non riuscendo a fingere e allontanandomi per sfuggire al senso di costrizione e alla saturazione ecco che arriva l’etichetta: sei fredda, sei cambiata…sei una stronza.

No. In realtà mi solo salvando facendo uscire allo scoperto, ma troppo  tardi quella parte sana che mi protegge in certi momenti.

Un quadro decisamente ricco di puntini, non vi pare? E probabilmente senza questa pandemia non lo avrei messo a fuoco. Magari vi sembrerà un discorso da pazzi, ma siete stati sull’Isola con me dal suo esordio, ormai sapete come funziona il mio cervello…  Credo che questo mio “nuovo” modo di leggere il mondo, sfruttando questa situazione potrebbe essere utile a chi si riconosce della sinfìdrome della mammina…o del paparino, perché succede anche agli uomini di essere troppo accudenti e poi di ritrovarsi a soffocare nelle relazioni. Qualunque tipo, non per forza di coppia.

Allora cosa fare? come si risolve? Come si esce da questo schema?

Prima di tutto credo sia fondamentale riconoscerlo, e secondo… è importante seguire i consigli di Zio Vlad: occorre mettere dei paletti.

Non è giusto per noi né per l’altro un’eccessiva disponibilità, l’accudimento eccessivo non permette all’altro di mettersi alla prova, di sfidare le proprie ansie e mette noi nella condizione disumana di stampella perenne che quando si spezza viene pure considerata male.

La verità è che siamo tutti umani, ma proprio per questo abbiamo la grandissima facoltà di interrogarci sui nostri errori e di ripartire da noi stessi correggendoli, cambiando ciò che sentiamo disfunzionale o che non ci fa stare bene.

Nel momento in cui non visualizziamo nulla ma sentiamo che qualcosa non va è utile prendere le distanze per provare a capire se così si vede meglio qualcosa, ma ciò che è necessario per prima cosa è verificare con quali occhiali stiamo osservando. Io non sarei arrivata a queste conclusioni senza il mio percorso di terapia personale. Mi ha cambiato la vita, in un certo senso me l’ha ridata, mi ha dato la facoltà di scegliere tramite il raggiungimento di molte consapevolezze e la risoluzione di svariati piccoli traumi.

Avevo gli occhiali giusti da un po’, ma questa situazione si è rivelata sorprendentemente utile in questo ambito della mia vita. Per il resto direi che possiamo stendere un velo pietoso, se ne è rimasto uno. Perché , lo chiarisco non sto dicendo che la pandemia è bellissima, sto dicendo io la voglio sfruttare così per non essere sopraffatta dalla paura e dall’ansia.

Non so se queste riflessioni saranno utili davvero a qualcuno, ma se tra i naviganti, ci fosse qualcuno che si riconosce sarebbe carino confrontarsi o anche solo un feedback 🙂

A presto, buona notte!

PS ( per il pippone natalizio oggi passo…tanto lo sapete che vivo fuori tempo!)