Serial Watcher: gli svergognati irresistibili

Al polo opposto di “This is us”, the dark side of “party of five” Ci sono loro: i Gallagher, gli vergognati, bugiardi, truffatori, arraffazzonatori seriali e impenitenti. Pessimi. Quando sembra che le cose possano migliorare…peggiorano, e se peggiorano…andranno sempre peggio in un vortice di disagio, incuria, dipendenze e disfunzionalità. Tutto così vero da sembrare assurdo e a tratti decisamente geniale. Menzione d’onore al capo clan. Frank, lurido bastardo, ti ho detestato allegramente per 11 stagioni e sul finire sei riuscito a spezzarmi il cuore, ma solo un po’… Perché non ti smentisci mai.
Finale…col botto.
Da psicoterapeuta familiare questa serie è puro nutrimento. Ogni personaggio meriterebbe un capitolo di elaborato. Se l’avessi vista tutta nel 2009 (ma ancora non esisteva) ci avrei fatto la tesina del 2 anno!
Il disagio diventa poesia quando si spinge al limite, perchè è solo così che a volte scopriamo la verità e la via della luce.
E ho nuovi parametri adesso. È tutto salvabile fino al livello Gallagher!

Giorni da P.A.S.

Finalmente oggi, mentre fuori il signor Maestrale si diverte a schiaffeggiare selvaggiamente ogni cose, mentre lo ascolto cantare, percepisco calma. Momento raro, momento in cui finalmente riesco a centrami un po’ e lascio che i pensieri fluiscano liberamente. E’ una cosa che mi manca, prima lo facevo di più, poi la vita si è complicata, i ritmi si sono fatti più serrati ed è aumentato anche il disagio di non poterlo più fare. Ma più vado avanti in questa nuova vita consapevole da P.A.S: e più mi rendo conto quanto sia fondamentale in certi casi, dare un nome alle cose, definirle. Le etichette non mi piacciono molto, dico sempre che non siamo barattoli, ma forse non sono le etichette in sé ad essere sbagliate, è come sempre l’utilizzo che ne facciamo, perché in fin dei conti le etichette servono a dare ordine alle cose. Aver scoperto ciò che sono, sapere “cose” sono, mi ha permesso di comprendere meglio il funzionamento del mio emisfero cerebrale destro, e questo a sua volta mi ha permesso di integrare una parte di identità fondamentale che mi mancava, e ora tutto non solo ha un senso nel passato e nel presente lo acquista, ma mi permette di costruire a partire da un presente equilibrato un futuro che sia in linea con me e non più una lista di cose che devono fare da qui alla fine del mondo. solo 11 anni fa mi ero fissata con una certa vita, e certi progetti che teoricamente riguardavano 2 persone, ma alla fine ero io da sola a programmare cose che si dovevano fare perché la vita degli altri è così e dunque per vincere il mio senso di inadeguatezza e diversità io mi incaponivo a seguire. Dovevo fare anche io come gli altri. Perché la vita è così. Lo fanno tutti. Perché io non ci riesco? Non sapevo chi ero. Non sapevo di cosa avevo bisogno. Avevo solo questa sensazione di diversità che volevo colmare. Ma non dovevo colmare niente, avevo solo bisogno di accoglienza, da parte di me stessa prima di tutto e poi da parte di chi mi stava accanto. Sapere come funziono , che va tutto bene e che alla fin fine, constatare che la maggior parte delle strategie che ho usato per cavarmela sono quelle giusto e più adatte a me e al mio cervello, ha rimesso a posto svariate cose… MA…. non si finisce mai di imparare e oggi rifletto su questo e come sempre lascio navigare i miei pensieri.

Oggi penso al mio lavoro, un lavoro che amo moltissimo, oltretutto un lavoro tipico fra quelli scelti della P.A.S. ma una lavoro troppo maltrattato dalla società che crede che sei psicologo devi praticamente vivere di carità… Ehm… non vorrei essere saccente o maestrina, tesorini, ma ci son le suore per quello, lo sapete?! Ho studiato più di 10 anni per formarmi, e ancora non è finita, libri, corsi, articoli… non si finisce mai. Ed io uso tutto per lavorare, grazie al mio emisfero creativo che quando viene stimolato si accende ( è una sensazione bellissima sentirlo brillare dentro!) Però, faccio mea culpa, mi sono resa conto che io per prima a volte non l’ho messo in luce come dovevo e che non mi presentavo correttamente agli altri. E’ vero, la libera professione è abbastanza rischiosa, lo stipendio non è fisso. Non ci sono ferie, non c’è malattia e se non ti fa una pensione integrativa… non non c’è opzione, bisogna farla e basta! Però è un lavoro magnifico, ho dei privilegi che altre persone non hanno, lavoro con la migliore collaboratrice al mondo: Gilda. Gestisco le ore in modo da poter controllare il più possibile l’overarousal a cui sono soggetta e posso gestire anche i ritmi per contenere i sintomi della fibromialgia. Le persone che vengono nel mio studio sono persone fighissime. Sono le persone migliori con cui ho a che fare nella mia vita. Ognuno di loro mi da fiducia, costruiamo un relazione unica, e camminiamo insieme, io tengo la lanterna, loro imparano a nuove posture e nuove falcate, io sto accanto a loro ed impossibile non crescere insieme a loro. Tutto questo è di una bellezza disarmante che se ci penso mi emoziono e piango ( cose da P.A.S.). E’ un lavoro che mi rende felice, e adesso arrivo al punto, e oggi in questa giornata di Maestrale sono qui a mettere letteralmente nero su bianco che non lo voglio più maltrattare come mi è capitato di fare.

Oggi mi tornano in mente le parole della mia mitica tutor del tirocinio a cui devo tutto ciò che imparato nella relazione con i pazienti: se vuoi fare libera professione usa tutte le tue energie per quello. Non disperderle. Aveva ragione. Durante gli anni ho avuto varie crisi e questo mi ha portato a prendere strade parallele con l’idea di integrare lo stipendio, avere una base fissa… fare soldi in più. Fosse andato bene qualcosa? MAI. E credo ci sia un motivo: ho disperso le mie energie altrove solo perché avevo paura e pensavo ai soldi. Non che i soldi non servano, anzi! Ma ora ho capito che per quanto mi riguarda non possono essere l’unico motivo per cui accetto un lavoro. La mia ultima esperienza con questo ragionamento mi ha creato ansia, crisi di over arousal, e ha potenziato in me la falsa credenza che si ti fidi degli altri ti deluderanno sempre. Vi sembra una cosa bella questa? sana? corretta? Vi sembra che sia un modo di lavorare adeguato? Per che cosa? per avere qualche soldino in più che mi verrà dato fra un anno e che non mi potrò godere perché lo userò per pagare le tasse? No, basta. Non fa per me. Non fa per Stefania che è una donna altamente sensibile e ha bisogno di creatività non di burocrazia e scadenze, perché il suo cervello va letteralmente in tilt in mezzo a queste cose. Io in studio ci vado felice, ci sono pazienti che non vedo l’ora di incontrare per poter ascoltare i loro progressi, per poterli vedere brillare, perché li vedo che si riappropriano della loro vita ed è meraviglioso. Magari sto focalizzando questa cosa un po’ tardi, ma se non avessi mai saputo di essere altamente sensibile, probabilmente avrei proseguito alla ricerca dell’unicorno, quando alla fine l’unicorno sono io! Perché si, faccio parte di una minoranza, e non so, magari rientro fra i neuroatipici… E va bene così, perché ora che lo so e so come funzione posso scegliere il meglio per me, e il meglio per me è lavorare con amore, e mi voglio concentrare su questo. Il mio studio, i mie pazienti, sono il mio orgoglio, sono ciò che mi rende felice, e mi dispiace di aver potuto pensare di integrare con altro che poi ha mi sempre fatto male ( e schifo) , perché ho tolto energie e impegno a ciò che veramente è importante per me.

Questo lunghissimo post pieno di fattacci miei lo scrivo prima di tutto per me, ma anche perché se magari qualcuno è in crisi, e capita qui, vorrei che sapesse che non bisogna mai perdere di vista chi siamo, e cosa vogliamo. Ci lamentiamo della società ma la società la creiamo noi, e quindi possiamo anche cambiarla, certo, non è facile e non è immediato ma bisogna crederci e andare avanti, con tantissimo amore verso noi stessi e verso ciò che facciamo, verso i nostri sogni e le nostre ambizioni. Bisogna alimentarle ogni giorno, ogni giorno portarle avanti, anche solo con un pensiero. Io ci credo moltissimo e ora ne ho la certezza. Non mi farò più fregare dalle convenzioni, dai dettami, o dai giudizi. Non sono cose che mi appartengono, non le voglio. Faccio parte di una minoranza che è necessaria al mondo. Perché non c’è evoluzione senza sensibilità, ed è per questo che d’ora in poi, avrò più cura di tutto ciò che amo.

Spaccato del giornaliero

Oggi ho parlato con una persona a cui tengo molto. Era un po’ infastidita a causa di un intoppo sul lavoro. Così per parlare anche io ho raccontato di una situazione lavorativa che mi ha dato fastidio e mi crea disagio e che dunque non voglio ripetere. Mai l’avessi detto…. I giudizi gratuiti, sono volati, come sempre fitti e diretti. Ogni volta che parlo con questa persona è così. Ma è cambiato qualcosa.

Sono cambiata io.

Fino a poco tempo fa, se questa persona mi avesse detto le stesse parole di oggi mi sarei sentita come colpita da milioni di proiettili nel cuore. Poi in segreto mi sarei messa a piangere per il dispiacere di essere giudicata da una persona a cui tengo.

Oggi no. Oggi ho pensato: ecco. È così, sarà sempre così. E mi dispiace. Ma non per me. Per questa persona. Perché sta giudicando senza ascoltare, perchè sta guardando solo la superficie delle cose, non ha la volontà di andare oltre e sembra ripetere uno schema all’infinito. Schema di cui è vittima e che ricalca.

Tutto questo è triste. Ma non mi riguarda più. Perché ho capito che in ogni mia scelta io creo il mio mondo, che è il.mondo in ciò vivo e che riflette ciò che sono. E voglio continuare a costruirlo anche gli altri non capiscono. Perché ci devo vivere io, non loro. E se i nostri mondi non incontreranno mai me ne farò una ragione. Ma nel mio mondo non c’è posto per il giudizio o per i giudicanti. Nel mio mondo c’è la speranza che chi vive così possa un giorno liberarsi di quel peso e vivere in libertà. 🌻

La solitudine secondo Fabrizio

“Solitudine. L’unico status mentale, spirituale e talvolta necessariamente fisico, in cui si riesce ad ottenere un contatto con l’assoluto, dentro di sé o fuori di sé stessi. Intendo la solitudine come scelta, non l’isolamento che è sinonimo di abbandono e quindi di una scelta operata dagli altri.
Personalmente mi considero una minoranza di uno e spesso trovo nella solitudine il modo migliore, forse l’unico, per preservarmi da attacchi esterni tesi anche inconsapevolmente ad interrompere il filo dei pensieri o a disturbare le sempre più rare vertigini di qualche sogno. Aggiungo che riuscendo a vivere in solitudine, se ci si esime dall’essere condizionati dal ronzio collettivo, ci si esenta anche dal condizionare gli altri”.

Fabrizio De André.

Voglio custodire le sue parole qui e cindiverle con chi vorrà perché esprimono esattamente ciò che è per me la solitudine ❤️

Pezzi di Puzzle

A volte immagino la vita come un enorme puzzle in cui alcuni pezzi si uniscono molto facilmente nella prima parte della vita perché ce li mettono i genitori.. volte li mettono bene, altre un pò storti e o si incastrano meglio crescendo oppure li rimettiamo a posto noi. Ogni pezzo lo incastriamo strada facendo a volte in automatico, ma altre volte, quel pezzo mancante si fa sentire come facesse corrente, o se creasse un vortice. E arriva quella sensazione strana, come di attesa, di attesa di qualcosa che manca.

Per 41 anni e 10 mesi io avuto questa sensazione. Poi ad Ottobre ho scoperto di essere una P. A.S. una persona altamente sensibile, ho scoperto che è un tratto di personalità ereditario ed è questo tratto che mi rende …ME: processo le informazioni in modo profondo; sono soggetta a sovraccarico quando gli stimoli sono troppo; riesco ad entrare in connessione empatica facilmente e senza accorgermene percepisco nell’ambiente e negli ambienti sociali alcuni dettagli che le persone non notano e che a volte mi fanno sembrare una veggente. Ma ci sono altre caratteristiche legate a queste 4 primarie che mi hanno resa agli occhi degli altri, agli occhi anche della mia stessa famiglia come: strana, aliena, esagerata, permalosa… Ma esagerata è il più gettonato! Perché? Perché essendo altamente sensibile alcuni stimoli mi trapassano per cui piango o commuovo in modo intenso anche se vedo una lumaca che dorme, o comunque se non mi commuovo mi emoziono in modo che per gli altri sono sono “normali” oppure se vedo un’ingiustizia mi arrabbio terribilmente, alzo la voce, ed esprimo in maniera molto forte ciò che sento. Il mio rapporto con gli animali è “esagerato” come dicono gli altri, perché li amo e la mia relazione con loro è vitale e cerco di mettermi al loro livello per capirli. Il sovraccarico mi crea stanchezza cronica, per cui da bambina ero “pigra” non avevo voglia di fare nulla ( secondo loro) e il fatto di essere colpita da più stimoli tutti insieme non mi ha mai permesso di stare sempre perfettamente attenta per cui “fai sempre le cose a metà” . E poi le relazioni… per una PAS non esiste la superficialità, e i tempi di relazione sono più lunghi, inoltre siamo attaccati ad onestà e giustizia ( fa parte del tratto) e siamo persone responsabili che seguono le regole. Quindi altra etichetta: non ti vuoi divertire, sei una suora, sei timida, sei insicura, sei complessata. Eh guarda te! ovvio che se la gente mi ha sempre attaccato etichette tipo barattolo di marmellata, ovvio che qualche complesso è arrivato. E chi mi segue sa già del bullismo. E della fibromialgia, che però …guardacaso, ha alcune caratteristiche bene si sposano con l’essere PAS, come la sensibilità al dolore, la stanchezza cronica e dunque la necessità di prendersi delle pausa.

Perché sto scrivendo tutto ciò? Perché da quando ho scoperto di essere PAS quella strana sensazione è sparita. Ormai mi ero rassegnata: ok sono strana, vivrò nel mio mondo strano insieme a più animaletti possibili e amen. Poi il pezzettino di puzzle ha trovato il suo posto e tutto ha cominciato ad avere senso. Ma soprattutto, ho imparato ancora di più ( ci avevo già lavorato prima ma è dura eh!) che non tutti mi vedono. E non è colpa loro, hanno le loro lenti. E anche se mi fa male da morire perché magari sono consanguinei e io vorrei solo che la smettessero di farmi sentire giudicata, io DEVO venire prima di tutto questo. E non solo dal punto di vista umano ma anche professionale. Le PAS hanno necessità di lavorare in un ambiente che a loro piaccia, che non sia sovrastimolante per loro ( altrimenti non potrebbero lavorare mai) e dove sentano di poteri esprimere. Non avete idea di quanto sia stata giudicata duramente e di quanto sia stata male per aver lasciato dei lavori o rifiutato alcune opportunità. All’epoca l’unica sensazione che avevo era: se faccio questo io mi ammalo. Ora so che era il mio tratto che mettendo inconsciamente insieme vari dettagli mi spingeva in realtà a proteggermi da ambienti ed esperienze che non avrei potuto sopportare. La sovrastimolazione non la gestiamo tutti allo stesso modo, c’è chi si stanca e chi ha delle crisi che somigliano ad attacchi di panico. Io col mio lavoro sono sempre un po’ sovrastimolata e in più con la fibro sono sempre molto stanca, ma ho già avuto 3 crisi di sovrastimolazione molto brutti. Riuscire a trovare questo pezzettino di puzzle è stato fondamentale, non solo perché so chi sono ma perché adesso so anche come devo avere cura di me e questo è fondamentale. Devo avere grande cura di me e le mie scelte d’ora in poi mireranno a questo. So che sarà un calvario perché chi non mi vede continuerà a squalificarmi e a giudicarmi ma amare se stessi in molti casi significa anche dover fare i conti con queste dinamiche e cercare di lasciarle scivolare via.

Perché mai oggi vi racconto questa strana storia personale?

Prima di tutto ne sentivo il bisogno perché sono capitate cose che mi hanno illuminata in questo senso e non potevo non condividere le mie scoperte. Le PAS sono il 20%della popolazione quindi non mi aspetto che tante PAS leggano il mio post, ma voglio che tutti sanno che esistiamo che non siamo strane, non abbiamo nessun tipo di malattia e che siamo molti utili perché la sensibilità è una risorsa da riconoscere e proteggere. Serve a tutti ❤ E a tutti noi, PAS o normosensibili serve mettere a fuoco una cosa importante: siamo unici, in tutto. E ci dobbiamo amare, rispettare e dobbiamo avere grandissima cura di noi stessi perché ognuno di noi è importante. Non importa ciò che dicono gli altri, le etichette strappiamocele via! Abbiamo il diritto e il dovere verso noi stessi di esprimerci senza paura e vivere come vogliamo noi. ❤

SERIAL WATCHER: THE PATIENT

In questi giorni si è tanto parlato di The Parient, una miniserie di 10 puntate, ognuna da mezz’ora circa, con protagonista Steve Carrel nei panni di uno psicoterapeuta che si trova a .. ” gestire” una richiesta (?) molto particolare da parte di un paziente.

Potevo farmela scappare? direi di no, per cui l’ho divorata in un paio di giorni, ma avendo tempo si vede in un pomeriggio.

La situazione che il dottor Strauss deve affrontare è molto particolare, in realtà non è neanche una vera richiesta… Immaginate di ritrovarvi in un seminterrato incatenati al pavimento con il vostro paziente paziente sociopatico e pluriomicida che pretende che lo guariate… a modo suo, convivendo e organizzando sedute random durante il giorno o la notte.

Bye bye setting, codice deontologico, confini… Ed è questa la parte che mio parere rende interessante la serie. Non è solo questione di di assecondare un sociopatico per tenerlo buono, ma è lo sconfinamento, la reazione di un setting assurdo che stravolge totalmente la relazione e diventa un doppio terreno di lavoro in cui i confini tra paziente e terapeuta si fanno sempre più labili e la sfera personale inizia a prendere piede, perché ovviamente il terapeuta è prima di tutto un uomo ( in questo caso), con una precisa cultura di appartenenza ( ebraica) e con dei problemi personali: sua moglie é morta di cancro relativamente da poco, senza riconciliarsi con il figlio Ezra che dopo il college è diventato ortodosso creando appunto una fortissima rottura soprattutto con sua madre. Tutto questo si va a sovrapporre con il senso di puro terrore dato dalla situazione che non può che avere un solo epilogo. E Alan lo sa. Lo sa fin dall’inizio. Comincia a dissociarsi, a fare incubi, a riflettere, a lottare a modo suo fino alla fine.

Ed è la fine che ha probabilmente un significato da affrontare delicatamente perché non una fine, ma è il trigger per l’inizio del cambiamento di altre vite.

Questo aspetto mi ha fatto pensare a come le fini per quanto dolorose o tragiche possano rappresentare delle perturbazioni profonde che cambiano radicalmente l’omeostasi del sistema famigliare. E non sempre in maniera negativa.

Figlio della nuova omeostasi è sicuramente il perdono, altra tematica forte nella serie. Quasi tutti i personaggi coinvolti in un modo o nell’altro hanno modo di perdonare, di andare oltre e di tenere con sè l’unico aspetto delle relazioni che è incapace di morire per etimologia: l’amore. In particolare in The Patient ciò che risalta di più sono le relazioni padre/figlio.

Sam è stato abusato da suo padre e ha dentro di sé un odio profondo che riversa sui sostituti del padre, soffocandoli. Alan non si è mai reso conto di aver celato, sotto l’accettazione, un profondo dissenso e una buona dose di giudizio nei confronti di suo figlio Ezra. Queste due situazioni seppure diverse tra tra loro trovano una risoluzione nel perdono, che ha modo di venire espresso divenendo portatore di amore e nuove premesse.

Sicuramente una serie potente dal punto di vista emotivo, che offre tematiche veramente interessanti e presentate in maniera originale, e recitato magistralmente. Non mi era mai successo di vedere Steve Carrel in un ruolo così drammatico, e l’ho apprezzato veramente moltissimo.

Sicuramente ne consiglio la visione a tutti colore che amano queste tematiche e che non hanno la fissazione del lieto fine. A volte bisogna essere realistici e rivedere anche il concetto di lieto fine… Chi dice che in questa serie non ci sia?

Se avrete voglia di dirmi cose ne pensate lasciate un commento 🙂

Buona visione!

DIRITTO ALLA TRISTEZZA

Oggi, come da un paio di mesi a questa parte sono triste. E lo sanno tutti. Come sanno che non sono triste ad catzum. No. Sono triste per svariati motivi molto validi e molto gravi e uno di questi, lo dico è che Gilda sta morendo. Però siccome è arzilla e non mi è stato detto quanto tempo ci resta io dovrei essere … meno triste? fare finta di nulla? Non ne ho idea… Fatto sta che se oso essere triste poi mi viene detto ” eh ma dai oggi sta bene!”

Ma sti gran cazzi?!

Ma posso essere triste fare schifo? Posso non dovermi vergognare di dire che piango tutti i giorni? Invece no, quasi non si deve dire, come se la tristezza fosse qualcosa di sporco, da nascondere…. shhh non si deve dire, che poi gli altri chissà cosa pensano! Ma cosa c’è da pensare? cosa c’è da giudicare nelle emozioni di qualcun altro? Davvero non me lo spiego, anzi lo trovo assurdo,e credo che tutto sto tabù per la povera tristezza sia dovuto da una sola ragione: siamo a disagio con la tristezza degli altri. Non sappiamo come comportarci, cosa dire…perché in questa società malata se non sei produttivo sei inutile…Beh vi illumino io: non dovete fare un cazzo! Non si risolve la tristezza, la si accoglie, se volete potete esprimere solidarietà, o dare una pacca sulla spalla. O semplicemente, anziché cambiare argomento facendo sentire male chi è già triste, stare zitti e non fare nulla. Tanto cosa volete che cambi? Niente!

Persino questo post non cambierà niente, ma almeno non sarò stata zitta a a sentirmi pure una merda solo perché sono triste! Perché dovrei fingere di sentirmi come non sono? Oltretutto per le P.A.S. è veramente difficile, ci può stare in altri contesti ma le nostre emozioni sono amplificate, nel bene e nel male.

Per cui oggi rivendico il mio diritto ad essere triste, e questo vuol dire che se non sta bene a qualcuno non è di certo un problema mio, perché questa tristezza, ha un senso, ha un motivo…anzi ne ha svariati ( non sto perdendo solo Gilda) e non posso fare finta di niente… Bisogna consumarla. Fino all’ultima lacrima. Fino a che non avrò risolto il problema della siccità inondando le zone secche della terra. Sarebbe tutto meno stancante se le emozioni fossero considerate tutte uguali e non si serie A e di serie B ma semplicemente stati dell’essere che fanno parte della vita. Ovviamente la prevalenza e l’assolutismo non fanno bene a nessuno. E ce lo insegna Inside out ( va visto, se non lo avete fatto rimediate subito).

quante persone magari stanno “morendo dentro” ma stanno zitte e fingono solo per non essere giudicate? Vi sembra sano? E se pensate che le persone tristi siano lagnose il problema lo avete voi. Una delle carenze più gravi che vedo in giro è l’accoglienza dell’altro, il rispetto della diversità in tutte le sue sfumature… C’è chi mi ha praticamente detto che essere P.A.S. è una malattia, altre gente dice che siamo deboli. Ma rispetto a cosa? Ma di che parliamo?! Come se sentire diversamente fosse sbagliato, come se alcune emozioni valessero meno. Ecco questo si è che è un ragionamento malato.

Ogni emozione merita di ardere fino a che non si sarà consumata in modo sano, e così ho deciso di fare oggi con questo articolo: rivendico il diritto di essere triste, poi prenderò per mano la tristezza e andremo insieme a vivere, la porterò con me, le mostrerò il mondo, e so che arriverà un momento in cui sarà molto più forte, crescerà, sarà dolore e poi esploderà… Ma so anche che dopo quel momento continuerò a respirare e con pazienza aspetterò il momento successivo che sarà un’ondata d’amore pazzesca. Perché così funziona il lutto. Ma non sboccerà niente se non piango oggi.

Siate tristi, siate felici, siate arrabbiati, disgustati, spaventati, sorpresi… lasciate che le emozioni vivano, e ascoltatele perché hanno sempre qualcosa da dire, ed è ciò che vi racconteranno che farà la differenza quando andranno via.

being cristina

Mi è impossibile raccontare di questo libro senza raccontare la storia di come io e lui ci siamo trovati e poi incontrati.

Il 26 settembre 2016 mi trovavo a Verona.
Ultimo giorno di una microvacanza per il concerto di Zucchero visto il giorno prima. Entro in una libreria e mi metto a curiosare…chissà perché mi casca l’occhio su questo libro:
NON TUTTI GLI UOMINI VENGONO PER NUOCERE
Leggo la trama e ridacchio…Sembrava quasi la storia della mia vita! Non potevo lasciarlo lì. Ed è così è approdato a Cagliari.
Ma ci sono voluti mesi, quasi un anno prima che il libro mi dicesse: leggimi

Ed era effettivamente il momento giusto, il momento di connessione assoluta fra me e Cristina, la protagonista.
Cristina, rompe con il fidanzato e decide di farsi una bella dormita con un bel po’ di Valeriana, ingurgitata con un po’ di vino. Peccato che il suo ultimo messaggio all’Ex venga frainteso, e Cristina si ritrova con un tubo in bocca, a biascicare parole, cercando di dire val… ( eriana) …val….V A L I U M capiscono i medici…. E via col tubo in gola!

Aprendo gli occhi…La visione: il medico del pronto soccorso.
Marco. Occhi scuri, capelli ricci, barba
( l’autrice conosce la descrizione del mio uomo ideale?!)

Il colpo al cuore. ( non solo di Cristina)
Fra una chiacchiera e l’altra, si insinua in Cristina quella sensazione di comodità, sicurezza e familiarità che comincia a farla innamorare di Marco.
E siccome le tipe come Cristina ( e come me) si incasinano la vita senza neanche accorgersene… Nel giro di pochissimo tempo succede che:
– Marco è fidanzato con una collega del pronto soccorso ( la donna perfetta)
– Cristina viene invitata a casa sua
– Le viene combinato un incontro con un loro amico che crede di essere fidanzato con lei.

Ma non è tutto.
Cristina perde pure il lavoro e si ritrova a dover vivere con i suoi genitori, la coppia perfetta, e il suo gemello Luca, un secchione plurilaureato sempre chiuso in camera sua a fare strani esperimenti.
Unica risorsa la sua amica Carlotta, insegnante di yoga, che la ospita a casa sua per farla scappare dalla convivenza in famiglia.

In tutta questa situazione di strani incastri, il rapporto con Marco a poco a poco diventa sempre più amichevole, e Cristina non ha ormai più dubbi. Lo ama.
Ma…ci sono sempre dei MA…
Torna il suo ex e la illude.
Trova un nuovo lavoro…o meglio un riciclo del vecchio, ma molto più umiliante e non riesce a levarsi di torno l’opprimente e insopportabile amico di Marco e Stefania, la coppia perfetta, che le ricorda costantemente quanto i suoi sentimenti per Marco siano “sbagliati”.

Fino a che l’escalation di questa situazione non esplode.
Tutte le verità verranno svelate.
Ma mica finisce qui! No no!

Cristina si prende una pausa. Va via, in un monastero a meditare, lontana dal mondo per avvicinarsi a se stessa…e ritrovare la sua strada.
E la trova. E cambia tutto.
Non ci crederete forse ma l’universo lavora veramente per noi, e se noi lo accogliamo, e se lasciamo andare, e se liberiamo noi stessi dalle zavorre emotive…Accade che ogni sogno si avvera.

E così Cristina trovando se stessa, trova anche un’altra versione della storia, una versione che non sapeva e che la stava aspettando…Forse da tutta la vita 🙂
Non vi rivelerò questo finale, che per me è stata una vera sorpresa.

Il mio rapporto con questo libro è profondo fin da quando ho letto la prima citazione e ci ho trovato un concetto che pensavo di aver inventato io. ( che presunzione 😛 )
Proseguendo la lettura, sono stata conquistata dallo stile diretto, semplice e così vicino al mio modo di scrivere e di pensare che è stato come leggere me stessa scritta da un altro.
L’autrice Federica Bosco, ha messo tanto di se stessa e tanto di ogni donna, creando una storia vera attraverso cui possiamo rispecchiarci, ma che ci offre tantissimi spunti di riflessione e di crescita, il tutto con leggerezza e simpatia.
Sicuramente un libro rifugio, quando abbiamo bisogno di un amico ma anche un libro distensivo e divertente per i momenti di svago di diversità.

Consigliato alle donne, ma anche agli uomini, perché fa bene a tutti vedere il mondo con gli occhi dell’altro 🙂
Buona lettura!

Tornare

E’ sempre un po’ strano per me tornare qui a scrivere dopo un po’ di silenzio, non so mai se ho perso il filo, se sono in solitaria o se esiste ancora qualcuno che frequenta questi lidi. però poco importa, ho sempre scritto principalmente per me stessa e secondariamente, a volte con la speranza di condividere qualcosa in modo che qualcun altro si sentisse meno solo, o meno alieno. oggi ritorno proprio perché sento la necessità di condividere un’informazione che probabilmente i più troveranno assolutamente irrilevante, o forse no, ma per me è qualcosa di straordinario.

Un mese fa, circa, frugando su instagram, credo, che non mi piace affatto ed uso pochissimo vedo un video, una robetta veloce…non lo vedo neanche tutto perché non so come poi ho cliccato altrove, ma ciò che riesco ad assimilare mi si stampa in testa, il ragazzo nel video diceva di essere altamente sensibile; P.A.S ( persona altamente sensibile) e questa cosa mi è ronzata in testa per un po’ di tempo, fino a che forse il giorno dopo, con calma, ho fatto una ricerca. LA ricerca.

ho trovato il sito italiano e frugando…ho trovato me, come una specie di identikit, io, in ogni punto…e più leggevo più mi schizzavano davanti frammenti di vita, immagini dell’infanzia, di quando ero ragazzina e avevo sempre questo senso di “diversità” che non sapevo mai spiegare. Era una certezza che avevo ma che non sapevo spiegare. Per me era tutto sempre troppo, le mie emozioni erano sempre fortissime, mi stupivo per piccole cose, sentivo tutto così forte nel bene e nel male ma il mio modo non era consono alla cosiddetta “normalità” e accanto a quei frammenti di vita mi sono arrivate anche le voci di chi stava intorno: tu non sei normale. tu sei strana. tu sei pazza. Il mio bisogno di isolarmi, il mio rigetto verso certi ambienti, persone, verso certi stimoli…l’amore per l’arte, così forte da piangere a singhiozzi per la bellezza di un quadro, il mio rapporto viscerale e preferenziale con gli animali… Mi ero convinta alla fine, di essere sola, strana, un’aliena e di essere condannata a non essere capita e accolta. ma poi, continuando a leggere salta fuori che il mio cervello semplicemente processa gli stimoli in modo diverso. E immediatamente quel senso di attesa, diversità e incompiutezza si è dissolto. Ho anche compilato un questionario orientativo che era il mio ritratto… E non c’è dubbio. Sono nata P.A.S. lo sono sempre stata e ciò che forse mi ha confusa e frenata sono stati i 20 anni di antidepressivi che prendevo per la fibromialgia. Dopo averli abbandonati ho subito notato la differenza ma pensavo che fosse una specie di assestamento. Ma poi ho capito che sono semplicemente io. E che non c’è niente di strano, malato o alieno, è solo DIVERSO! E soprattutto, ci sono altre persone che funzionano come me, che sentono come e capiscono come mi sento perchè abbiamo le stessi lenti per guardare il mondo.

E’ stato un riappropriarmi dell’interezza di me stessa e non mi fermerò qui perché voglio approfondire la questione. quante persone P.A.S. potrei aiutare sapendo che lo sono anche io? Quante ancora non sanno di esserlo e magari capitano qui e lo scopriranno, riappropriandosi anch’esse di parti così fondamentali di sé?

Malgrado questo sia un periodo molto triste della mia vita che finirà solo in una tristezza ancora più grande .. Scoprire questo è stato un attimo di felicità immensa che mi ha regalato una serenità inaspettata e un senso di equilibrio immenso.

Ci saranno sempre quelle persone che non mi capiranno, che continueranno a squalificare i miei stati d’animo e a dirmi che sono strana o pazza, o esagerata ( epiteto gettonatissimo!) ma questa volta non avrò alcun dubbio su me stessa, avrò solo la certezza di accogliere me in toto e di provare compassione per chi ha paura della diversità.

Vi lascio il link del sito per avere avere informazioni, chissà…magari ci sono dei P.A.S. che leggono e non lo sanno ancora di esserlo: https://www.personealtamentesensibili.it/

Se siete P.A.S. fatemelo sapere, raccontatemi come lo avete scoperto!

Forza

Pensando alla parola forza mi viene in mente la frase di un film ” siamo donne, è la forza che trova noi”… È mi sono interrogata su questa energia che ci porta all’azione.

Io non so proprio da dove arrivi, forse davvero è lei che trova. Oggi, banalmente mentre cercavo di non cadere a pezzi ho pensato che certe volte la forza è quando ti siedi davanti allo specchio e ti trucchi perché devo andare a lavoro, anche se fino a 15 secondi prima stavi piangendo, e in realtà vorresti solo raggomutolarti in un angolo per 24 ore e continuare a piangere, anche se il tuo pensiero fisso è che da certe situazioni non si esce se non distrutti e non eri preparata perché il temporale sta arrivando e le nuvole sono nere e si preparano a devastare tutto … Ma ti ti siedi, ti passi la crema, un po’ di eyeliner, blush, rossetto e mascara, poi ti pettini, fai un respiro profondo…e vai.

Oggi la grande forza è stata questa… Per un’ora, ho tenuto insieme i pezzi per accogliere chi aveva bisogno di me. Ma nessuno raccoglierà i miei quando sarà il momento, e forse è per questo che credo che la forza ci trovi… Lei prende le mani libere per diventare corpo, per farsi atto, per vincere.

Voci precedenti più vecchie Prossimi Articoli più recenti