SERIAL WATCHER: THE PATIENT

In questi giorni si è tanto parlato di The Parient, una miniserie di 10 puntate, ognuna da mezz’ora circa, con protagonista Steve Carrel nei panni di uno psicoterapeuta che si trova a .. ” gestire” una richiesta (?) molto particolare da parte di un paziente.

Potevo farmela scappare? direi di no, per cui l’ho divorata in un paio di giorni, ma avendo tempo si vede in un pomeriggio.

La situazione che il dottor Strauss deve affrontare è molto particolare, in realtà non è neanche una vera richiesta… Immaginate di ritrovarvi in un seminterrato incatenati al pavimento con il vostro paziente paziente sociopatico e pluriomicida che pretende che lo guariate… a modo suo, convivendo e organizzando sedute random durante il giorno o la notte.

Bye bye setting, codice deontologico, confini… Ed è questa la parte che mio parere rende interessante la serie. Non è solo questione di di assecondare un sociopatico per tenerlo buono, ma è lo sconfinamento, la reazione di un setting assurdo che stravolge totalmente la relazione e diventa un doppio terreno di lavoro in cui i confini tra paziente e terapeuta si fanno sempre più labili e la sfera personale inizia a prendere piede, perché ovviamente il terapeuta è prima di tutto un uomo ( in questo caso), con una precisa cultura di appartenenza ( ebraica) e con dei problemi personali: sua moglie é morta di cancro relativamente da poco, senza riconciliarsi con il figlio Ezra che dopo il college è diventato ortodosso creando appunto una fortissima rottura soprattutto con sua madre. Tutto questo si va a sovrapporre con il senso di puro terrore dato dalla situazione che non può che avere un solo epilogo. E Alan lo sa. Lo sa fin dall’inizio. Comincia a dissociarsi, a fare incubi, a riflettere, a lottare a modo suo fino alla fine.

Ed è la fine che ha probabilmente un significato da affrontare delicatamente perché non una fine, ma è il trigger per l’inizio del cambiamento di altre vite.

Questo aspetto mi ha fatto pensare a come le fini per quanto dolorose o tragiche possano rappresentare delle perturbazioni profonde che cambiano radicalmente l’omeostasi del sistema famigliare. E non sempre in maniera negativa.

Figlio della nuova omeostasi è sicuramente il perdono, altra tematica forte nella serie. Quasi tutti i personaggi coinvolti in un modo o nell’altro hanno modo di perdonare, di andare oltre e di tenere con sè l’unico aspetto delle relazioni che è incapace di morire per etimologia: l’amore. In particolare in The Patient ciò che risalta di più sono le relazioni padre/figlio.

Sam è stato abusato da suo padre e ha dentro di sé un odio profondo che riversa sui sostituti del padre, soffocandoli. Alan non si è mai reso conto di aver celato, sotto l’accettazione, un profondo dissenso e una buona dose di giudizio nei confronti di suo figlio Ezra. Queste due situazioni seppure diverse tra tra loro trovano una risoluzione nel perdono, che ha modo di venire espresso divenendo portatore di amore e nuove premesse.

Sicuramente una serie potente dal punto di vista emotivo, che offre tematiche veramente interessanti e presentate in maniera originale, e recitato magistralmente. Non mi era mai successo di vedere Steve Carrel in un ruolo così drammatico, e l’ho apprezzato veramente moltissimo.

Sicuramente ne consiglio la visione a tutti colore che amano queste tematiche e che non hanno la fissazione del lieto fine. A volte bisogna essere realistici e rivedere anche il concetto di lieto fine… Chi dice che in questa serie non ci sia?

Se avrete voglia di dirmi cose ne pensate lasciate un commento 🙂

Buona visione!